VENEZIA

“Per tutti noi oggi Venezia si associa con forza all’idea stessa di città, e si tende a vedervi l’espressione forse più alta di quanto può avvicinarsi a un modello di struttura urbana ideale.” (Ortalli, Scarabello 1990, pag. 1)

La città, che si sviluppa su ben 118 isolette collegate da 354 ponti, è divisa nei sestieri di Dorsoduro, Santa Croce, San Polo, San Marco, Cannaregio e Castello. Il sestiere era anticamente una delle sei frazioni nelle quali una città poteva essere suddivisa.
Venezia fu, per circa 1100 anni, la capitale della Repubblica Serenissima Veneta, la più lunga e duratura repubblica della storia e per secoli una delle maggiori potenze europee. Non divenne mai signoria principesca né monarchia o impero.

Al tempo dei Romani l'Italia era divisa in quattordici regioni; Venetia si chiamava la X Regio che si estendeva da Grado a Cavarzere e qui, nelle varie isole lagunari, vivevano salinai, pescatori, cacciatori di palude. Quando l’impero si disgregò finendo sotto il dominio germanico, la costa di Venetia rimase governata da funzionari romani nominati dall’imperatore d’Oriente a Bisanzio. Solo fra il V e il VII secolo queste terre sperdute si popolarono delle genti venete che fuggivano dalle invasioni barbariche. I primi centri abitati sorsero a Grado, Caorle, Eraclea, Jesolo, Torcello, Malamocco, Chioggia cominciando a formare quello che sarà il Ducato di Venezia.

I centri più importanti della nuova vita lagunare furono:

  • Grado sede del potere religioso, trasferitosi da Aquileia devastata dagli invasori
  • Eraclea prima sede del governo, oggi distrutta
  • Torcello importante centro commerciale

           

Santa Maria delle Grazie
V secolo
Grado.

Interno.

Santa Maria Assunta e
Santa Fosca
XI secolo, fondata nel 639
Torcello.

Santa Maria Assunta
Interno.



L'aumento della popolazione e il bisogno di difendersi dall'invasione longobarda indussero il governo bizantino ad affidare il controllo, quasi essenzialmente militare, ad un duca-dux-doge e il primo ad essere eletto fu Paoluccio Anafesto nel 697. Venezia acquista così potere ed autonomia di amministrazione locale nella gerarchia dei domini bizantini in Italia, pur continuando a riconoscere l'autorità dell'Imperatore d'Oriente.
Marcando il distacco dal mondo della terraferma, Venezia si sottraeva ad un destino feudale e si proiettava verso il mare.
La sede governativa, a causa di disordini con Jesolo, si trasferisce da Eraclea a Malamocco ed infine il doge Agnello Partecipazio la porta a Rivoalto segnando così l'insediamento nel nuovo centro insulare che, crescendo d'importanza, darà origine alla civiltà rivoaltina che solo verso il XIII secolo cambiava definitivamente il suo nome in Venezia. Nel 1200, collegate da ponti di legno e da traghetti, si contavano una sessantina di isole, ciascuna con il suo mercato, la sua chiesa, il suo santo, le sue feste.

Pianta iconografica di Venezia e le sue isole,
in una pagina della Cosmographia di Tolomeo,
miniata nella seconda metà del XV secolo
Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana.

Per essere totalmente indipendente dal patriarca di Aquileia, che si era trovato prima in orbita longobarda e poi franca, Venezia doveva diventare sede patriarcale possedendo le reliquie di un evangelista o di un apostolo. Ed ecco che nell'829, trafugate dai mercanti Buono e Rustico, arrivano da Alessandria d’Egitto le spoglie di san Marco evangelista, il fondatore della chiesa aquileiese, scelto come nuovo patrono al posto del greco san Teodoro.

Perché i Veneziani scelgono proprio Marco anziché Pietro al quale già dal 774 s’intitolava la cattedra vescovile che aveva sede a Rialto?

“[…]come possesori del [suo] corpo […] i duces veneziani modellarono il proprio rapporto con san Marco su quello dei papi con san Pietro. Proprio come i papi avevano ereditato l’autorità da san Pietro, i Veneziani avevano ereditato quella di san Marco. I papi erano autonomi: lo sarebbe perciò stata anche Venezia”. (Puppi 1994, pag. 27)
Si erige allora una nuova chiesa, la cappella ducale in fianco al castello del doge e san Marco diviene simbolo di forza per recuperare la totale autonomia anche dall'Oriente.

Probabile resto della chiesa di San Teodoro
Venezia, basilica di San Marco, piazzetta dei Leoncini.

Emblema della città sarà il leone alato: una creatura fiabesca, simile a una chimera, che rappresenta l’evangelista Marco e con esso lo Stato potente e glorioso.

Vittore Carpaccio
Il leone di san Marco, 1516
Venezia, Palazzo Ducale.

    

Leone marciano “en moleca”
XIII secolo.


Il leone di san Marco è rappresentato in piedi, come se camminasse, con la zampa appoggiata su un libro aperto dove si legge Pax Tibi Marce Evangelista Meus. Nei tempi di pace il leone campeggiava sui gonfaloni della Repubblica con il libro aperto, quando invece la Serenissima era in guerra il leone veniva raffigurato in “moleca”, cioè rannicchiato, con la zampa appoggiata sul libro chiuso. Queste due raffigurazioni hanno quindi un valore simbolico: nel primo caso il governo intendeva far sapere al mondo che le sue azioni erano guidate dalla sapienza, sopraffatta dalle armi in tempo di guerra.

La leggenda veneta narra che, prima di lasciare Aquileia per recarsi ad Alessandria d’Egitto, un angelo apparve a Marco annunciandogli che le sua ossa avrebbero riposato nell’isola di Rialto.

Dal 979 si proclama il doge «patronus et verum gubernator capelle sancti Marci» e nel culto del santo i valori religiosi e civici diventano inseparabili. Venezia s'ingrandisce e si fortifica contro le incursioni piratesche, il castello, cuore della città, era circondato da mura e da torri. Fattasi sempre più potente sul mare e strappate agevolazioni all'impero bizantino per gli aiuti prestati, Venezia tende a rafforzare le posizioni di preminenza nell'Adriatico su tutte le popolazioni rivierasche in modo da assicurarsi la via libera verso l'Oriente.

Paolo Veneziano
Pala feriale, 1343-1345
Particolare: San Marco salva la nave che trasporta a Venezia il suo corpo.
Venezia, basilica di San Marco, Museo Marciano.


Nell'anno 1000 la vittoria dei Veneti sui Croati e la marcia del doge Pietro Orseolo II sulla Dalmazia segnano la conclusione degli sforzi dei Veneziani sulla via d'Oriente. A ricordare questa fortunata impresa si istituisce la festa della Sensa-Ascensione con il simbolico Sposalizio del Mare: “Noi ti sposiamo, o mare, in segno di vero e perpetuo dominio” diceva il doge lanciando l’anello dal Bucintoro vogato dagli operai dell’Arsenale. “Sposando il mare Venezia abbracciava metaforicamente quel che vi era al di là: sposava la diversità etnica, la molteplicità religiosa, culturale, economica, gettava in qualche modo un ponte verso l’ignoto”. (G. Gullino, Società, economia, istituzioni, pag.110)

Percorso del Bucintoro in una tavola del 1515

Francesco Guardi
Il doge sul Bucintoro si dirige verso San Nicolò di Lido, 1770-75 ca.
Olio su tela, 66 x 100 cm
Parigi, Museo del Louvre.


Tra il 1082 e il 1085 Venezia vince i Normanni e, alleata a Bisanzio, salva il colosso d'Oriente diventando la preferita negli scali orientali, è questo un passo in più verso la totale libertà. Rispetto ai rigidi modelli della società feudataria dell’Occidente il piccolo mondo veneziano è veramente diverso: intraprendente, pronto a cogliere le opportunità offerte dai commerci e dall’attività finanziaria; Venezia è una città ricca.

Nel 1204, divenuta ormai una potenza marittima che agiva come uno stato indipendente rispetto a tutte le forze operanti in Europa, Venezia ebbe l'occasione di tagliare gli ultimi legami che ancora la univano a Bisanzio. Il doge Enrico Dandolo, ottenuto l'appalto per il trasposto dei crociati francesi verso la Terrasanta, ebbe il pretesto e l'occasione per espugnare e saccheggiare Bisanzio, detronizzando l'Imperatore. E come bottino di guerra giunsero a Venezia i quattro cavalli di bronzo che sovrastavano l’Ippodromo di Costantinopoli e che ancor prima erano a coronamento di un arco trionfale a Roma. A seguito di questa impresa Venezia diventò completamente indipendente, e nello stesso tempo ereditò i confini di un'enorme impero coloniale distribuito tra la Siria e il Mar Nero fino alle isole Cicladi e l'arcipelago Egeo nel Mediterraneo. Veneziano sarà il patriarca di Costantinopoli come pure il clero di Santa Sofia.

Martin da Canal, nella seconda metà del XIII secolo, in Storia di Venezia scriveva: “[…] La nobile città che si chiama Venezia è ora la più bella e la più piacevole del mondo, piena di ogni bellezza e d’ogni bene”.

Costantinopoli
(da C. Buondelmonte) Liber Insularum Archipelagi, XV sec.


Tra il XIII e il XIV secolo nuove famiglie economicamente potenti furono ammesse nella cerchia dei “nobili” e coinvolte così nella gestione del governo. Ma nel corso del Trecento regole sempre più rigide, come la “serrata” del Maggior Consiglio, stabilirono che l’appartenenza alla classe di potere fosse esclusivamente ereditaria. Così facendo si aspirava a formare una classe dirigente specializzata per la quale la politica fosse un dovere dal quale si poteva essere esentati solo entrando nel clero, rigorosamente escluso dalle scelte di Stato. I giovani patrizi, prima di intraprendere la carriera politica perfezionavano i propri studi all’Università di Padova o all’Accademia dei nobili. Il 1300 è segnato dalla guerra tra Venezia e Genova per il predominio sul Mediterraneo; il conflitto terminerà quasi verso la fine del secolo con la definitiva vittoria dei veneziani.

Conclusa la guerra con i Turchi, Venezia alla fine del Quattrocento all'apice della sua potenza, controllava gran parte delle coste dell’Adriatico e molte delle isole dell’Egeo, inclusa Creta e Cipro. Era la principale potenza militare e tra le principali forze mercantili nel Medio Oriente. Sulla terraferma il suo dominio si estendeva dal Friuli fino al Lago di Garda e al fiume Adda. Per dieci secoli, Venezia fu considerata dispensatrice di giustizia e di buon governo, già dal ‘300 tutelava il lavoro minorile. Ad essa allude l’immagine della Regina coronata con bilancia e spada in mano. La Repubblica governava ma non amministrava le sue province che, sotto la supervisione di un rettore veneziano, mantenevano le proprie istituzioni e i propri sistemi normativi. Lombardi, veneti, friulani, istriani, dalmati, ortodossi, ebrei, musulmani, protestanti: troppe erano le lingue, le etnie, le religioni e le culture per poter essere unificate. Le colonie erano governate da un bailo che, affiancato da due consiglieri, seguiva le direttive impartite dal Senato di Venezia. Il Consiglio dei Dieci si avvaleva di magistrature di controllo che potevano ordinare ispezioni in ogni momento e a chi non rispettava le regole di governo veniva imposta una forte ammenda, il carcere e l’interdizione perpetua ad ogni carica pubblica. Le popolazioni, per esporre lamentele o chiedere giustizia, inviavano ambasciatori a Venezia.

”Un ambasciatore francese ricco di esperienza mondana, visitando Venezia alla fine del Quattrocento, ne scrisse in questi termini: «È la città più splendida che io abbia mai visto, e quella che fa più onore agli ambasciatori e agli stranieri e che si governa più saviamente» (Philippe de Commines, Mémoires, 1495)” (Lane 1991, pag. 279)

Giustizia in trono tra le personificazioni della Fede e dell’Abbondanza, 1545
Miniatura da manoscritto
Torcello, Museo Provinciale.


Nel Cinquecento la Repubblica si impegnò in esemplari bonifiche tanto che i capitali veneziani si mobilitarono nell’acquisto di terreni e, delle 1400 ville di terraferma, oltre 250 furono edificate proprio allora.

   

Andrea Palladio
Villa Cornaro
iniziata nel 1552
Piombino Dese (Padova).

Andrea Palladio
Villa Pisani
iniziata nel 1542
Bagnolo di Lonigo (Vicenza).

Andrea Palladio
Villa Emo
iniziata nel 1557
Fanzolo di Vedelago (Treviso).



La città di Venezia era una grande metropoli: negli anni sessanta, superava i 170.000 abitanti e per quanto il secolo corrisponda ad un periodo di prosperità e di sfarzo si evidenziano le prime fragilità sia per la Repubblica che per l’Italia. Alle grandi monarchie nazionali di Francia e di Spagna si contrappongono gli Stati regionali e l’affermarsi dell’egemonia spagnola sul Ducato di Milano e sul Regno delle Due Sicilie è il preludio di una decadenza economica. Inoltre l’intraprendenza dei navigatori portoghesi apre nuove vie verso l’Oriente togliendo alla Serenissima il mercato francese e inglese. Nel 1509 papa Giulio II, Luigi XII re di Francia, l’imperatore Massimiliano e Ferdinando d’Aragona, uniti nella Lega Santa o Lega di Cambrai, attaccano la Repubblica a causa dei contrasti con il pontefice per il controllo delle Romagne. L’esercito veneziano, disastrosamente sconfitto nella battaglia di Agnadello, si ritira perdendo via via le città della terraferma. A salvare la situazione concorsero la saggezza e la diplomazia politica del governo veneziano che, attraverso concessioni e restituzioni, mirò a disgregare le alleanze degli Stati coinvolti.

Pianta: Evoluzione della città.


Giovanni Bellini
Il doge Leonardo Loredan, 1501-1504
Londra, National Gallery.

   

Tiziano
Ritratto postumo del doge Andrea Gritti, 1540 ca.
Washington, National Gallery.


Nel 1516, parzialmente risarcita, Venezia si metterà in gioco nella politica europea stringendo alleanze prima con la Francia e poi con Carlo V il cui impero si estendeva dalla Spagna all’Italia meridionale, alla Germania, alle Fiandre, ai domini della casa d’Austria, ai territori conquistati in America. Il doge Andrea Gritti, eletto nel 1523, consapevole della mutevolezza degli eventi politici e sociali, intraprenderà una politica tesa a esaltare l’immagine e l’indipendenza di Venezia impegnandosi nella renovatio urbis con l’ambizione di farne la “Nuova Roma”.

Nel 1570 l’impero ottomano attacca i possedimenti nel Mediterraneo orientale e la vittoria di Lepanto (1571) ha solo un valore simbolico: il Senato veneziano nel trattato di pace cede Cipro ai Turchi.
La superiorità degli inglesi e degli olandesi nelle costruzioni marittime e nell’arte della navigazione preannuncia il declino della marina mercantile veneziana.
Nel 1576 la peste ucciderà un quarto degli abitanti segnando la fine di un’epoca.

Paolo Veronese
La battaglia di Lepanto, 1573 ca.
Venezia, Gallerie dell’Accademia.


Nel Seicento si aggraveranno le controversie con Roma relative all’ostilità veneziana rispetto alle immunità ecclesiastiche fiscali o giudiziarie; alla prerogativa rivendicata dalla Repubblica di scegliere il patriarca e i vescovi; alla sovranità vantata dai veneziani sull’Adriatico che comportava intralci alla navigazione pontificia. Nel 1605 papa Paolo V Borghese emanò l’interdetto contro Venezia appellandosi al rifiuto di restituire al foro ecclesiastico due preti accusati di gravi reati comuni che il Consiglio dei Dieci si accingeva a giudicare. Il papa chiedeva inoltre la revoca di alcune leggi che vietavano in tutto lo stato la costruzione di nuove chiese, ospedali e luoghi pii, nonché del divieto di trasferire beni immobili dalla sfera laica a quella ecclesiastica senza il permesso del Senato. La diatriba si concluse con la revoca papale nel 1607 grazie alla mediazione francese, ma era già iniziata la fase di declino che si aggraverà con la Grande Peste del 1630 e con la ventennale e sanguinosa guerra di Candia (1644-1669) che, oltre a falciare il patriziato più intraprendente e vitale, sarà una grande emorragia di mezzi navali e soprattutto di denaro.
Il sistema economico si riconverte e, visto che da decenni le guerre non devastano più il territorio della Serenissima, il patriziato da ceto mercantile si trasformerà in aristocrazia terriera.

“La politica veneziana nel corso del ‘700 è caratterizzata da un’opera di mantenimento dello status quo, nella sempre più difficile difesa di un mito di grandezza e prestigio ormai solo illusorio, mentre congiunture politiche, economiche e sociali, non solo interne ma più larghe e generali, ne minacciano la sopravvivenza”. (G. Nepi Scirè, Dal museo alla città, n. 6, pag. 51)

La Repubblica, per fronteggiare l’altissimo debito pubblico, comincia a vendere a caro prezzo cariche e onori, e sebbene sia ormai politicamente sulla via del tramonto non cessa di brillare dal punto di vista culturale, basti ricordare i nomi di Vivaldi, Goldoni, Tiepolo, Canaletto.
Lo Stato, pur perdendo i contatti con i domini della terraferma dove si diradano le ispezioni e si comincia a parlare di corruzione e trascuratezza, conserva un’apparenza di governo. Il più grosso limite dell’aristocrazia fu continuare a considerare il popolo estraneo alla gestione degli affari comuni e ad ignorare la borghesia come forza politica. Così la crisi numerica ed economica della classe dirigente, l’incapacità di rinnovarsi, portò la Serenissima a morire per consunzione interna.
Mentre il carnevale vestiva di falsa allegria un organismo moribondo, le condizioni di vita peggioravano velocemente e con la Rivoluzione Francese il vecchio stato veneto uscirà dalla storia. Nella guerra tra Francia e Austria la Repubblica proclamò la propria neutralità, ma non poté impedire che gli eserciti si affrontassero nei suoi territori e il 12 maggio 1797 il doge Ludovico Manin fu costretto a consegnare la città a Napoleone Bonaparte.

Canaletto
Procuratie nuove al caffè Florian, prima del 1760
Particolare
Londra, National Gallery.


“Fra le tante città create dall’uomo, Venezia ci appare come simbolo di bellezza, di saggio governo e di un capitalismo controllato dalla comunità. La singolarità dell’ambiente fisico in cui fu costruita le conferì un fascino eccezionale […] non aveva altre mura che la laguna, non guardie di palazzo tranne gli operai dell’Arsenale e nessuna piazza d’armi per le esercitazioni e le parate militari a eccezione del mare.” (Lane 1991, pag. 3)