Stemma della famiglia Foscarini

I NOBILI VENEZIANI DEL SETTECENTO
IVB 

Nel marzo 1762, due mesi prima di venir eletto doge, Marco Foscarini affrontò l'argomento dei rapporti fra i nobili in un memorabile discorso in Maggior consiglio:
"Molte disuguaglianze, el savemo tutti, passa fra i nobili. I somi ufizi e le dignità, le magiori aderenze o minori, le fortune domestiche e l'istesso favor dei animi gode più o meno introduzion de notabili diferenze fra i omeni de repubblica, ma nessuna di queste fa ingiuria a la sostanzial parità che core tra loro, parità coetanea a la nascita, e che forma la base d'ogni governo aristocratico".
Le "notabili differenze" fra i patrizi constatate dal Foscarini risalgono ad un lontanissimo passato.
La loro causa di gran lunga più importante va vista in un processo che si affermò con veemenza nel Cinquecento.
Si tratta di un nuovo orientamento del pensiero economico, il passaggio dall'attività commerciale alla proprietà terriera, dal profitto alla rendita. La penetrazione economica dei Veneziani in terraferma trasformò molti nobili in agiati proprietari terrieri, alcuni addirittura in latifondisti; tuttavia i più poveri di loro erano destinati a soccombere nella corsa alla terra. Le disparità nella distribuzione della proprietà terriera innalzarono barriere durature fra i nobili ricchi e quelli poveri: chi a quell'epoca era povero in linea di massima era destinato a rimanere povero per sempre.

Rielaborazione da V.Hunecke, Il corpo aristocratico, in Storia di Venezia. L'ultima fase della Serenissima, v.VIII, pp.361 e 364

Pietro Falca detto Longhi, Il ciarlatano, 1757

La decadenza nobiliare nelle testimonianze del tempo

Scriveva nel 1736 alla Serenissima Signoria il nobiluomo Marcantonio Catti: «Se la pubblica carità non porgesse soccorso alle famiglie nobili che languiscono per l'estrema povertà, sarebbe non di onore ma di pena la stessa nobiltà»: e come lui, qualche decina di nobili presentava ogni anno, sin al cadere della Repubblica, analoghe richieste. Ma quando a uno di questi nobili poveri accadeva di ottenere una carica di rettore in qualche piccolo centro della Terraferma, cercava subito il tono e il modo per far sentire ai suoi amministrati che lui era nobile veneto, magari per rivalersi delle mortificazioni che aveva subito. Che un simile atteggiamento, così lontano dall'antico ideale civile e politico del patriziato veneziano, avesse assunto dimensioni massicce, tali da preoccupare gli spiriti più vigili e solleciti dell'avvenire della Repubblica, è dimostrato dalle pagine accorate che scriveranno uomini quali Marco Foscarini e Andrea Tron, o dalle commedie che Carlo Goldoni, certo d'intesa con nobili di questo orientamento, scriverà e farà rappresentare tra 1740 e 1751: dove il tipo di nobiluomo di Terraferma, tracotante, borioso, perditempo, sempre sul punto di rovinarsi, sarà proposto alla nobiltà veneziana come modello deformato in cui riconoscersi, da cui trarre l'incitamento ad emendarsi.

Tratto da da G.Cozzi, Ambiente veneziano, ambiente veneto. Governanti e governati nel dominio di qua dal Mincio nei secoli XV-XVIII, in Storia della cultura veneta. Il Settecento, v.4/II, pp.495-528

Lo scadere del concetto di nobiltà dev'essere rilevato nelle pagine di quegli scrittori che del vecchio mondo vedono spesso l'angustia ma non augurano la rivoluzionaria trasformazione.
Il tema dell'inerzia dei nobili o della loro arroganza compare nel Goldoni del Feudatario o della Bancarotta, dove l'insolvibilità del nobile protetto da taciti privilegi di fronte al mercante sull'orlo del fallimento, si rivelava per quello che era, "un robar bello e bon". Ma la missione di governo della nobiltà non serbava più la sua validità neppure per Gasparo Gozzi, pur così dolorosamente lontano da ogni fiducia in una riforma sociale. E non erano tanto gli improvvisi scatti satirici contro l'arroganza dei nobili, quanto e assai più la fede nell'osservazione, e quindi nel contatto vivo e vivificante col mondo e le sue cose, ad allontanarlo da una nobiltà irrigiditasi nelle sue tradizioni: senza affermazioni di principio, ma colla stanchezza di chi osservava un mondo che non riusciva ad amare.

Rielaborazione da M.Berengo, Il problema politico-sociale di Venezia e della sua terraferma

La suddivisione in classi del corpo aristocratico operata da Giacomo Nani (1750)

Classe

Case vecchie

Case nuove

Tutte le case

I "famiglie assai ricche"

40

10,0%

4

4,0%

44

8,7%

II "che hanno più del loro bisogno"

42

10,4%

18

17,8%

60

11,9%

III "che hanno il loro bisogno"

129

32,1%

50

49,5%

179

35,6%

IV "che hanno meno del loro bisogno"

76

18,9%

18

17,8%

94

18,7%

V "che non hanno niente"

115

28,6%

11

10,9%

126

25,0%

Totale

402

100%

101

100%

503

99,9

Tratto da V.Hunecke, Il corpo aristocratico, in Storia di Venezia. L'ultima fase della Serenissima, v.VIII, pp.361 e 364

La villeggiatura dei nobili nel Settecento

Rielaborazione degli studenti

Nel ‘700 i nobili veneziani iniziarono a considerare in maniera preponderante come loro dimora ideale non solo la casa veneziana, ma anche la villa.
Ciò che spinse maggiormente i nobili a questa “invasione” verso la terraferma era il lustro sociale che questa nuova “moda” apportava a chi se lo poteva permettere.
In villa si andava anche per attendere alle proprie terre ma, più che un’attività imprenditoriale agricola, quella dei nobili pareva essere un’attività di controllo sui possedimenti.
Infine la villeggiatura era anche un’occasione per riposarsi ed allontanarsi dalla frenesia cittadina. La campagna era dunque un luogo ove si andava volentieri e per periodi che, proprio per i motivi sopraelencati, diventavano sempre più lunghi.
In questo modo la politica veneziana venne messa al secondo posto, tanto che si arrivò addirittura alla riduzione, in alcuni periodi dell’anno, del numero di maggioranza per le votazioni al senato, gli stessi nei quali i nobili si recavano in villa.

J.Giacomello, M.Miele classe IV BInf

Scuola di Pietro Falca detto Longhi, Il concerto, sec.XVIII