G.D.Tiepolo, Passeggiata estiva, Villa Valmarana ai nani, foresteria

I PRINCIPALI PERIODICI DI GASPARO GOZZI

La "Gazzetta Veneta"
IVB 

La "Gazzetta veneta" (febbraio 1760-gennaio 1761), periodico creato da Gasparo Gozzi, si proponeva di rispondere all'esigenza di seguire ed illustrare la vita cittadina, nelle sue novità culturali come nella sua cronaca minuta, narrando fatti e rispondendo a domande curiose, pubblicando aneddoti e alternando novelle con apologhi.
Nell'ambito appunto della vita locale, la "Gazzetta" di Gasparo Gozzi dichiara di volersi muovere: essa recherà non notizie d'Africa e d'Asia, non avvisi di guerre e di trattati, ma solo cose che interessino il paese veneto. Avvisi economici, dunque, e cronaca locale. Ma già nelle prime pagine, l'attenzione per il "paese" manca di una sua vera carica politica: e l'elogio di esso si trasfonde subito, prepotentemente anche se quasi inavvertitamente, in quello dell'esperienza.
"Di assedi, di trinceramenti e d'altro di questo genere", la "Gazzetta" non parlerà perchè il Gozzi di queste cose non vuole darsi cura nè udir discorso:

Io non ho punto a far colla tempesta
delle bombe infuocate e de' cannoni,
sto colla turba cheta de' coglioni
che non debbono al mondo alzar la testa...
E perciò mi nascondo
quando uno parla di eserciti disfatti
o di vittorie o di paci o di patti
e grido: oh pur siam matti,
noi ranocchi col muso ne' pantani
a gracidar di regi e di sovrani!

"L'Osservatore veneto"

Con la creazione di "L'Osservatore veneto", Gozzi cercò di dare vita (sul modello dell'inglese "The Spectator"), a un periodico diverso, ricco di argomenti e di soluzioni letterarie e privo di informazioni spicciole e mercantili. Il foglio accolse così, oltre a rari articoli di attualità e di polemica letteraria e teatrale e a qualche componimento in versi, prose, per lo più brevi, di fantasia.
In uno dei primi numeri dell’"Osservatore", lo scrittore parla di sé: egli «si diede al viaggiare, e sconosciuto vide varie generazioni di genti, e pellegrino divenne. Nelle città da lui trascorse non misurò campanili, non disegnò architetture di ricchi palagi, non piazze, non vie; sempre ebbe gli occhi attenti agli abitatori».
Questo «viaggiare» del Gozzi ignora infatti i paesaggi statici e la natura, ma si apre invece tutto verso le scene mosse degli uomini: la calle del Forno ove si litiga, la riva e la piazza su cui passa e s’indugia il carnevale, o l’aia su cui danzano i contadini, entrano nella luce del suo quadro in quanto si affollino di figure umane; ma quando esse escono di scena, scompare anche il terreno su cui si sono mosse.

Scuola di Pietro Falca detto Longhi, Merenda in campagna, XVIII sec.

Le pagine migliori del Gozzi, quelle che più s’imprimono nella memoria, nascono dallo studio del diverso reagire degli uomini quando vengono a contatto tra loro: il rapidissimo e leggero profilo iniziale che accenna i lineamenti delle diverse persone, si precisa solo nell’incontro, di una luce reciproca. Ma in Gozzi il profilo non diventa figura: come non gli interessava la natura, così si potrebbe dire che, in sé considerato e preso, non gli interessasse neppure l’uomo. I «ritratti» pubblicati dall’Osservatore sono, e tali vogliono essere, tipi e non figure; e gli uomini e le donne che si susseguono nei fatti narrati dai giornali gozziani, vi stanno sempre in funzione di un quadro di cui essi sono solo parti e momenti ben fusi.

Scuola di Pietro Falca detto Longhi, Pranzo in villa, XVIII sec.

Non era solo una contingente difesa dalle possibili molestie dei potenti e dal pericolo della censura, che induceva il Gozzi a rivendicare alla sua satira un carattere tipico e non sociale, non legato alle particolari condizioni del «proprio paese». «Io ci giocherei la mia vita contro un morso di berlingozzo, che quanto io ho detto ne’ passati fogli sino al presente, si potrebbe così bene adattare a tutti gli uomini antichi, come i miei malevoli cercano di adattarlo ai presenti; e coloro che verranno potranno benissimo adattarlo ai tempi loro», si che adirarsi col giornalista, sarebbe non meno vana cosa che «avere collera contro a Terenzio, contro a Plauto, contro Orazio e Giovenale».
Questa pagina è solo apparentemente diversa da quella, di tono più realistico, che apre la "Gazzetta": lì come qui l’attenzione per l’agire degli uomini è mantenuta centrale ed intatta, da essa si muove per lasciarla presto alle proprie spalle, nel raggiungimento di quei valori che sono immutabili all’uomo nella società moderna come nell’antica.
Qui è, insieme con la grandezza e la novità, anche il sicuro limite dell’esperienza gozziana e del suo significato nel giornalismo veneto del ‘700.
Entrano infatti ora per la prima volta in un foglio periodico uomini e cose di tutti i giorni, furti e beffe, cronache mondane e vicende amorose; e la lezione che si trae da questi fatti è sempre la stessa: da un lato l’utilità insostituibile dell’esperienza, del contatto con la realtà; dall’altro, la sfiducia per i principi astratti e le generalizzazioni, per la «filosofia».

Rielaborazione da M.Berengo, Introduzione, in Giornali veneziani del Settecento, Milano, 1962